HAGGARD E IL CICLO DI AYESHA

di Simone Piazzesi

 

 

 

Indice

- Lo stile

- Il romanzo coloniale

- Misticismo pagano ed esoterismo

- Influenza di Haggard sulla letteratura e sul cinema

 

 Breve nota biografica dell'autore.

 Henry Rider Haggard nacque in Inghilterra, a West Bradenhahm Hall, nel 1856 da padre avvocato e madre scrittrice dilettante. A diciannove anni si trasferisce in Sudafrica dove inizia una carriera amministrativa come segretario del governatore delle colonie di Natal e Transvaal. In seguito agli studi giuridici intrapresi in Africa, eserciterà anche la carriera giuridica come giudice di Pretoria. Nel 1881 torna in Inghilterra dove sposa una ricca ereditiera, Mariana Louisa Margitson. Con la moglie torna nuovamente nel Transvaal dove avvia un allevamento di struzzi ma, quando la colonia viene ceduta all'Olanda, Haggard torna in patria dove esercita l'avvocatura, ma con poca assiduità dato il crescente impegno come scrittore di romanzi di successo. Non smetterà mai di scrivere e fino all'anno della sua morte, avvenuta a Londra nel 1925, alternerà la carriera diplomatica (come membro della Commissione Reale sulle Colonie) a quella di scrittore.

 

 Nota bibliografica.

 La prima opera di Haggard, Cetywayo and his white neighbours, è di stampo storico-realistico e tratta le vicende dell'annessione del Transvaal all'impero britannico, a cui egli prese parte in prima persona.

Il primo romanzo fantastico, Dawn, è del 1884 ma il successo gli arriderà solo l'anno successivo con la pubblicazione de Le miniere di Re Salomone. Questo romanzo, che aprirà un ciclo di ben 15 volumi, ha per protagonista l'esploratore Allan Quatermain e si ispira al famoso L'isola del tesoro di Stevenson. Sembra infatti che Haggard avesse scommesso con alcuni amici di riuscire a scrivere un romanzo che superasse in fascino e avventura l'opera di Stevenson. Anche qui infatti abbiamo degli esploratori che, sulla base di un'antica mappa, si avventurano alla ricerca di un tesoro perduto.

Nel 1887 scrive il celeberrimo She, col quale apre un nuovo ciclo narrativo di quattro romanzi fantastici con protagonista la donna immortale Ayesha (in Italia si conoscono solo gli ultimi due volumi, La donna eterna e Il ritorno di Ayesha).

I romanzi del ciclo di Allan Quaterman e di Ayesha fanno parte del filone cosiddetto "africano" che, oltre a queste opere principali, comprende, tra gli altri, Nada de Lily (1891), Quenn Sheba's ring (1892), The people of the mist 1894), e i romanzi sulla storia dell'impero Zulù e sul suo capo guerriero, Ciaka.

Altro filone è quello storico sull'antico Egitto in cui compaiono romanzi come Cleopatra (1889), rigorosa ricostruzione storica delle vicende della regina; Morning star (1889); Queen of the dawn (1925); The world's desire (1890) in cui si riprendono le avventure di Ulisse.

Il terzo filone in cui è suddivisibile la produzione haggardiana è quello dei romanzi pseudo-storici in cui, prendendo spunti da personaggi e vicende reali, si costruiscono avventure fantastiche. Ricordiamo, fra gli altri, Montezuma's daughter (1893); The wanderer's necklace (1914) in cui si narra di un vichingo che si unisce all'impero romano d'oriente per combattere i musulmani; Moon of Israel: a tale of the exodus (1918) in cui si ricostruisce l'epopea biblica del popolo ebraico; When the world shook (1919) sul mito del continente scomparso di Atlantide.

Da ricordare infine i trattati scientifici che Haggard scrisse sull'agricoltura, di cui era esperto e per cui venne nominato baronetto: Rural England (1902) e The poor of the land (1905).

 

 La donna eterna

 Il romanzo si apre con un espediente narrativo usato spesso per immergere il lettore in un clima realistico (si pensi a Il nome della rosa di Eco, o persino ai Promessi sposi di Manzoni, solo per citare due famosissimi romanzi), insinuando in lui il dubbio che l'avventura fantastica che si sta leggendo sia vera. Infatti come primo capitolo troviamo un premessa dell'editore il quale afferma di aver ricevuto un manoscritto da tale Orazio Holly che glielo ha fatto pervenire per rendere note al mondo le avventure di cui lui e il suo amico Leo Vincey sono stati protagonisti. L'editore quindi sottolinea che il romanzo non è opera sua ma frutto delle memorie di tale Holly che, in procinto di partire per l'Asia centrale (dove si svolgerà l'altro romanzo, Il ritorno di Ayesha¸ che forse l'autore stava già progettando) si è sentito in dovere di rendere pubbliche le conoscenze fatte nella sua spedizione africana.

Da questo momento in poi la vicenda viene narrata da Holly, un uomo tanto brutto nell'aspetto quanto dotato di forza straordinaria in virtù del suo fisico massiccio (che lo trarrà fuori dai guai più di una volta!),al quale viene affidato l'ultimo discendente di un'antichissima famiglia, il giovane Leo Vincey.

Una volta diventato maggiorenne, Holly rivela a Leo il segreto che suo padre gli aveva confidato al momento di consegnarli il figlio in custodia: i Vincey hanno un'origine straordinaria, discendono da una principessa egizia di nome Amenartas e da un sacerdote greco-egiziano di Iside, di nome Callicrate, vissuti ai tempi del regno dei Tolomei.

Callicrate aveva rotto i voti con Iside per unirsi ad Amenartas, con la quale era fuggito nel cuore dell'Africa nera, dove avevano incontrato la misteriosa Ayesha, dotata di bellezza divina e di altrettanto divini poteri, oltre che di una vita lunghissima, quasi eterna.

Ayesha s'innamora di Callicrate, ma lui la respinge e Lei, infuriata, lo uccide per poi far riportare Amenartas in Egitto, con in grembo il figlio di Callicrate. D'allora in poi, tutti i discendenti maschi del sacerdote, per più di duemila anni, sono partiti alla ricerca della Donna Eterna, invano. Anche Leo, obbediente a questa tradizione, decide di partire per questa ricerca, seguito dall'amico Holly e dal maggiordomo Joseph. Giunti in Africa, dopo varie peripezie per mari e paludi, incontrano la regina ancora giovane e bellissima, che governa sugli Amahagri, un popolo di selvaggi che vive nelle grotte di Kor, un'antichissima civiltà di cui rimangono solo le rovine della città principale, nel cratere di un vulcano spento.

Sia Leo che Orazio (che gli indigeni ribattezzano rispettivamente Leone e Scimmiotto) s'innamorano di Lei, la quale riconosce in Leo la reincarnazione di Callicrate, il cui ritorno aveva atteso con convinzione assoluta per più di duemila anni.

Ayesha offre per la seconda volta il dono della longevità, assieme alla promessa di un amore eterno, al suo amato, il quale non li rifiuta, e Lei lo porta con sé sotto terra, lungo gallerie e crepacci mostruosi assieme ad Holly. Nel sottosuolo, Ayesha conduce i due uomini in una caverna luminosa, dove brucia inestinguibile una grande colonna rotante di fuoco: è il centro vitale del pianeta, il punto da cui scaturisce l'energia vitale pura che nutre la vita sulla Terra. Se un essere vivente vi entra, ne esce caricato al massimo di forza vitale, in grado di vivere quasi per sempre. Ayesha, per incoraggiare Leo, s'immerge prima di lui nella fiamma d'energia, ma una volta uscita invecchia improvvisamente - non sapeva nemmeno Lei che non ci si può immergere due volte nella colonna di fiamma - e muore, almeno apparentemente. Ma prima di morire promette a Leo che tornerà tra gli uomini prima o poi, proprio come anche lui è tornato: è una legge di natura a cui nessuno sfugge.

Leo e Holly, sconvolti, rinunciano a bagnarsi nella colonna di fiamma, e tornano in Inghilterra.

 

Il ritorno di Ayesha

 Nel secondo romanzo, si rivela il mistero di Lei, il suo senso metafisico, potremmo dire. Il tono del secondo romanzo è molto più mistico del primo, un misticismo tutto pagano.

Ne Il ritorno di Ayesha Leo, ormai giunto alla disperazione, sogna Ayesha che lo conduce sulle montagne del Tibet, dove gli appare un vulcano attivo, sconosciuto al mondo civile, sulla cui cima fiammeggiante si erge un'enorme croce ansata, l'Ankh egiziano, il simbolo della vita eterna.

Leo si convince che in qualche modo Ayesha si è reincarnata su quella montagna, e parte ancora una volta assieme a Holly. Dopo sedici anni di ricerche nel Tibet, i due amici giungono in un monastero buddista dove un lama, Kou-en, narra loro una strana vicenda, un ricordo che lui ha di un'esistenza precedente, in cui era già vissuto come monaco nello stesso monastero. In questa esistenza Kou-en aveva visto arrivare dei soldati macedoni, reduci della campagna di Alessandro Magno in India, capeggiati da una sacerdotessa egizia di nome Hes, che affermava di essere l'incarnazione stessa di Iside, di cui voleva diffondere il culto nel Tibet.

Leo e Horace seguono le tracce di quell'antico esercito e giungono nel regno di Kaloon, dove incontrano la Khania di Kaloon, discendente del capo dell'esercito macedone. Atene, la Khania, s'innamora di Leo, sentendo di averlo già amato in una precedente esistenza, ma lui sente che non si tratta di Ayesha. I due amici vengono a sapere che accanto al regno di Kaloon esiste il regno della Montagna di Fuoco, la stessa vista in sogno da Leo, dove regna la Hesea, sacerdotessa di Hes, l'avversaria della Khania.

Contro la volontà della Khania, i due amici si recano sulla Montagna, dove trovano il Santuario di Hes o Iside, rappresentata da una statua di donna alata, con in grembo un bambino. La Hesea è una donna vecchissima, avvolta da bende e veli, più simile ad un'orrenda mummia che a una donna vivente, ma comunque Leo e Horace vi riconoscono la bellissima Ayesha, e Leo respinge definitivamente Atene, accettando Ayesha così com'è.

Allora Ayesha formula una preghiera a Hes-Iside rivolta verso il cratere ardente del vulcano, da cui esce una fiamma a forma di ali che la avvolge e la ritrasforma nella donna bellissima che era prima. Ayesha rivela allora la verità: il suo spirito era tornato nel corpo della precedente Hesea, che era morta di vecchiaia, rianimandolo; inoltre, è lei stessa la reincarnazione di Hes, sacerdotessa di Iside, prima di diventare Ayesha, così come Atene è la reincarnazione di Amenartas.

Nella Montagna di Fuoco viene celebrato il matrimonio di Ayesha e di Leo, con rito egizio: in cui gli sposi vengono identificati con Iside e Osiride. Tuttavia il matrimonio non può ancora essere consumato perché Leo deve prima immergersi nella colonna di fiamma vitale in Africa, altrimenti il contatto fisico con Ayesha lo ucciderebbe. Ma Leo non vuole aspettare, e non vuole diventare un Dio. Solo a questo punto risulta chiaro il senso metafisico della vicenda. Ayesha, che porta il titolo di Stella caduta dal Cielo, è la manifestazione terrena di Iside, o meglio dello Spirito della Natura, come si autodefinisce Lei stessa. Callicrate era destinato da sempre ad essere l'amante della Dea, ma aveva commesso infedeltà, rompendo i propri voti sacerdotali e preferendo la donna terrena a quella divina, per venire poi punito con la morte per tale infedeltà.

Per questo Callicrate doveva poi redimersi ripetendo la prova dopo duemila anni. Leo, il nuovo Callicrate, ha rifiutato Atene, la nuova Amenartas, la regina mortale, rinunciando al potere e alla felicità temporali che lei poteva offrirgli, per tornare alla regina immortale, sacrale, che dona un amore eterno e una vita altrettanto eterna. Ma anche Ayesha sembra scontare una qualche colpa, un suo rifiuto nascosto di voler vivere pienamente la sua divinità per lasciarsi condizionare da aspirazioni puramente umane.

Arriva infatti l'ultima prova per tutti quanti i protagonisti del dramma: Atene fa rapire Leo con un inganno, Ayesha-Hes muove guerra a Kaloon, scatenando su di essa i suoi poteri divini e distruggendone l'esercito. Atene, vedendosi sconfitta, si suicida, ma anche Leo muore, dopo aver costretto Ayesha a baciarlo per la prima volta, uccidendolo all'istante. Ayesha porta il corpo di Leo sull'orlo del vulcano attivo, nomina una nuova Hesea, e saluta i suoi fedeli, promettendo loro di tornare ancora. Inoltre consegna un sistro a forma di Ankh a Holly, dicendogli di suonarlo quando sentirà la morte avvicinarsi. Infine, Ayesha invoca Hes-Iside, la quale giunge di nuovo sotto forma di ali di fuoco, facendo sparire sia Lei che il corpo di Leo.

Un anno dopo, Holly, tornato in Inghilterra, sente avvicinarsi la fine e si reca ad un tempio monolitico che si trova nelle vicinanze, dove era stato praticato il culto di Iside ai tempi della dominazione romana. Là suona il sistro di cristallo, e compare una figura fiammeggiante di donna, di fronte alla quale muore improvvisamente.

 

Analisi del testo

 Lo stile

Analizzare lo stile di un'opera di cui non si è potuto leggere l'originale è cosa assai difficile e, soprattutto, soggetta ad arbitrii di non poco conto. La qualità della traduzione infatti è fondamentale nel rendere l'atmosfera linguistica propria di un autore. In questo caso la traduzione che utilizzata è quella fatta da Wanda Puggioni per l'edizione del Gruppo Newton (Compagnia del fantastico; Il fantastico economico classico) del 1994. In realtà il lessico lievemente arcaico e il tipo di registro adoperato fanno pensare a una traduzione di molti anni precedente, riutilizzata poi per questa ristampa.

Nella lettura risalta subito uno stile enfatico, a tratti ampolloso, spesso retorico, teso a dare splendore alle parole e a far sì che l'immaginazione del lettore venga colpita nel modo più vivace possibile. Sembra che l'autore voglia precipitare il lettore nel bel mezzo delle paludi dell'Africa sconosciuta e gli voglia far provare non solo le privazioni e le vicissitudini fisiche dei protagonisti, ma anche tutta la gamma di stati d'animo che un'avventura straordinaria come quella può provocare: paura, terrore, ansia, coraggio, perseveranza, amore. Tutto questo è descritto nei minimi dettagli, con un'aggettivazione lussureggiante e un ritmo avvincente che non può non catturare l'attenzione e tenere legato alla pagina. Gli esempi sarebbero innumerevoli, ne faccio solo uno per rendere l'idea di questo stile che potremmo definire "sensoriale" che tende, cioè, a colpire i sensi. All'inizio di La donna eterna, prima di sbarcare in Africa, i protagonisti sono vittime di un naufragio e devono affrontare con le scialuppe il mare in tempesta. Ecco come Haggard ci presenta la scena:

La furiosa tempesta imperversava intorno a noi e sulle nostre teste, sbalestrandoci di continuo in ogni senso; il vento e gli spruzzi che ci flagellavano il viso, ci stordivano, ci toglievano quasi il lume dagli occhi; pure continuavamo sempre nell'opera di salvataggio con ardimento e come spinti da una esaltazione angosciosa e selvaggia insieme, che aveva in sé del sublime.

Questo stile, inimmaginabile in un romanzo moderno, era tipico del romanzo d'avventura ottocentesco e quindi non possiamo certo rimproverare Haggard, il quale rispecchiava la sensibilità artistica della sua epoca.

Possiamo ricondurre a questo "sensorialismo" stilistico anche il frequente ricorso che l'autore fa al macabro e al sorprendente. Immagini e situazioni che colpiscono la fantasia del lettore sviluppando ansia e meraviglia. È il caso dei rituali cannibali dei primitivi Amahagri, con il loro terribile rito del vaso incandescente in testa con cui solevano uccidere e mangiare i loro nemici. Oppure il tetro spettacolo del falò di decine di mummie impalate a cui Ayesha fa assistere i suoi ospiti, come fosse un onore unico riservato a loro. Le mummie appartenevano all'antichissima civiltà di Kor che, scomparsa a causa di una misteriosa epidemia secoli prima, aveva lasciato vestigia di sé nelle grotte e nelle rovine dell'antica capitale del regno. Oppure, sul finale de La donna eterna, la morte di Ayesha che invecchia di colpo scontando la sua età secolare, è descritta in modo raccapricciante come una metamorfosi da semi-dea a larva scheletrita. In Il ritorno di Ayesha questi elementi macabri si attenuano leggermente e vengono rimpiazzati da un accentuato senso esoterico-allegorico che svolge la stessa funzione di fascinazione sul lettore; egli infatti viene catturato da tematiche mistiche e misteriose di cui solo alla fine otterrà la corretta chiave di lettura.

 

Il romanzo coloniale

Si definisce romanzo coloniale quella particolare tipologia narrativa che, con una facciata di avventure in mondi esotici e misteriosi, tende a propagandare in modo nascosto l'ideologia del colonialismo, soprattutto inglese, dell'ottocento. Ecco che quindi i popoli incontrati sono sempre primitivi, selvaggi e spesso svolgono il ruolo dei "cattivi" all'interno della trama; i protagonisti sono sempre bianchi aristocratici e nel complesso l'opera delle potenze coloniali nei territori occupati viene fatta passare come opera di civilizzazione di mondi altrimenti condannati a rimanere semi-barbari. Il maggiore esponente di questo genere è stato Rudyard Kipling, ammiratore e amico di Haggard. Quest'ultimo, con toni certo meno enfatici di Kipling, in diverse pagine tende a far passare l'idea di un occidente portatore di sani valori contro i primitivi popoli africani o asiatici. Alcuni esempi.

Al cospetto di Ayesha tutti gli indigeni si inginocchiano e intimano di farlo anche al protagonista che però, sentendosi esponente di una civiltà superiore in mezzo ai selvaggi, non può non fare il seguente pensiero:

Per un filo non obbedii allo strano suggerimento. Ma un momento di riflessione bastò a farmi rientrare in me stesso, ed a richiamarmi alla dignità di uomo libero e civile.

In un altro passo il protagonista, candidamente, mostra lo spirito predatorio con cui gli occidentali consideravano legittimo sottrarre reperti archeologici dai territori visitati, senza pensare che ogni terra ha diritto a godere e disporre dei proprie ricchezze. Davanti ad antichi vasi di terracotta afferma infatti:

Presentavano tutti una suprema eleganza di linee che avrebbe fatto di loro un prezioso acquisto per uno dei nostri musei.

Si giunge fino ad un ostentato razzismo nei confronti dei popoli di pelle nera quando uno dei protagonisti afferma:

Non ho troppa fiducia in questa gente dal viso nero come il carbone. Hanno certi occhi da ladri!

Non tutti però danno questo giudizio sulle opere dell'autore. Riccardo Valla in un suo articolo ("Il mal d'Africa di sir Henry Haggard", www.nord.fantascienza.it) afferma:

La caratteristica che permette di distinguere Haggard dai suoi imitatori e che lo rende moderno ancor oggi è il suo particolare rapporto con l'Africa, da lui vista con rispetto profondo, senza le ironie colonialiste di molti scrittori dell'epoca [...] un amore misto a rispetto che è la sua forma particolare di "mal d'Africa.

Per una disamina più approfondita dell'argomento rimandiamo comunque all'esaustivo saggio di T. Mocera: "Haggard e il romanzo coloniale", pubblicato in Fogli di Anglistica IV, Palermo, Flaccovio, pag. 17-34.

 

Misticismo pagano ed esoterismo

In questi due romanzi di Haggard risulta evidente l'interesse dell'autore per tematiche soprannaturali ed esoteriche. Se Haggard credesse davvero a queste dottrine o se ne fosse solo vagamente affascinato, non lo sappiamo. Di sicuro amava il mondo antico, le antiche civiltà (prima fra tutte quella egizia) e il mistero che circonda il loro ricco simbolismo rituale non può averlo lasciato indifferente. In realtà in La donna eterna questi elementi mistico-esoterici rimangono un po' a margine, pur essendo fondamentali per delineare la vita e l'azione dei personaggi. Se, infatti, troviamo elementi come la reincarnazione e un "fuoco di vita" capace di dare l'immortalità a chi vi si immerge, questi però rimangono quasi come orpelli ad abbellire una trama e un'azione tutta terrena, puramente avventurosa. Il lettore infatti è catturato, per la maggior parte del libro, più dall'esplorazione impavida di terre sconosciute a costo di enormi rischi e fatiche, dalla tribù di selvaggi Amahagri, dalle vestigia dell'antica città di Kor che non dai fenomeni soprannaturali. Lo stesso discorso non vale invece per Il ritorno di Ayesha in cui la narrazione diventa molto più intrisa di elementi occulti ed esoterici. Oltre alla reincarnazione e all'immortalità già citati, compaiono croci ansate (Ankh), dei egizi (Iside e Osiride) con relative sacerdotesse, Fenici di fuoco, misteriosi monaci veggenti. Questo fiorire di simboli e rimandi spirituali è stato analizzato molto bene da Piero Trevisan nel suo "Haggard e il culto della Grande Madre" in cui viene privilegiata una lettura new age di Ayesha come allegoria della grande madre Terra, Gaia, il pianeta organico e vivente. Scrive infatti Trevisan:

Nel ricco simbolismo della vicenda si possono trovare molti significati. L'immagine della Grande Madre che viene espressa attraverso l'immagine di Ayesha-Hes non è solo quella di Iside, ma anche quello della Fenice che muore e risorge nella fiamma, e inoltre somiglia a Hestia, la Dea del focolare, che per gli antichi stoici era la Terra stessa, che, contenendo il fuoco nel suo grembo, era come un focolare o un forno. Assomiglia anche alla Dea polinesiana del fuoco e dei vulcani, Pele, che donò il fuoco agli uomini, come un Prometeo al femminile, così come invece Ayesha vorrebbe poter essere il Prometeo del futuro, donando all'umanità il fuoco della sua conoscenza sterminata.

Ayesha è lo Spirito della Natura incarnato, è l'energia della Terra, della vita organica, che si contrappone alle religioni monoteistiche e spiritualistiche: più volte nei due romanzi Lei dileggia il Cristianesimo ed il Buddismo, ritenendoli vuoti ed astratti, per affermare la dottrina dell'Amore e della Vita, che devono imporsi a volte anche con la violenza.

Ma Ayesha non si sente completa in se stessa, ricerca un completamento in qualcosa di diverso da Lei, un'immagine maschile a cui si contrappone, che guarda qualcosa al di là di Lei, verso la vita dell'oltretomba. Leo-Callicrate è l'immagine di Osiride, Dio dell'oltretomba.

A tal proposito è interessante analizzare la parabola dell'interesse di Haggard verso l'occultismo nel suo divenire cronologico. Infatti ne Le miniere di re Salomone, di solo due anni precedente a La donna eterna, non vi è traccia di elementi soprannaturali ma c'è solo pura avventura. In La donna eterna, come abbiamo visto, pur mantenendo una forte carica avventurosa, fanno la loro comparsa alcuni elementi soprannaturali che poi esploderanno in tutto il loro fulgore simbolico in Il ritorno di Ayesha.

Cosa è successo in questo breve lasso di tempo? Una spiegazione ce la fornisce Riccardo Valla, nel suo già citato articolo. Valla infatti fa notare come proprio in quegli anni fossero apparsi in Inghilterra alcuni scritti e movimenti che avevano profondamente segnato il mondo dell'occultismo e avevano avuto grande risonanza anche al di fuori della ristretta cerchia di cultori. Il movimento ermetico della Golden Dawn, le ricerche di Doyle sulle fate (intese non come fenomeno folkoristico ma come entità realmente esistenti), la Società Teosofica di Madame Blavatsky, oltre al diffondersi dello spiritismo nelle sue mille varianti dovevano certamente aver colpito l'immaginazione, già di per sé molto fertile, di Haggard influenzando la sua produzione letteraria.

 

Influenza di Haggard sulla letteratura e sul cinema

Con i romanzi del ciclo di Ayesha, Haggard ebbe un tale successo che si può dire abbia inaugurato un vero e proprio filone narrativo. Una schiera di emulatori si gettarono a scrivere opere che ne riprendevano gli elementi caratteristici: avventure di esplorazione in continenti lontani e inesplorati (l'Africa principalmente), o i riferimenti ad antiche civiltà scomparse di cui si riscoprivano i resti archeologici o le conoscenze spirituali perdute (il filone romanzesco dei "Mondi Perduti"). Sicuramente influenzati dal gusto per l'esotico di Haggard furono scrittori come Edgar Rice Burroughs, Philip Josè Farmer e Rudyard Kipling.

I romanzi di Haggard hanno inoltre ispirato numerose pellicole cinematografiche che, in modo più o meno aderente, ne riprendono le avventure. Oltre a film di notevole successo come quelli su Le miniere di re Salomone ve ne sono stati molti altri, spesso passati sotto silenzio. Basti pensare che dal 1899 al 2001 sono state girate ben undici pellicole ispirate al ciclo di Ayesha:

1899 Le colonne di Feu

1908 She

1911 She

1916 She

1917 She

1925 Mirakel der Liebe (She)

1935 La donna eterna (She)

1965 La dea della città perduta (She)

1967 La donna venuta dal passato (The vengeance of She)

1985 She

2001 She

 

Di questi forse il più famoso rimane quello del 1965, La dea della città perduta in cui una bellissima Ursula Andress interpreta Ayesha in modo regale, unica nota positiva in un film che mantiene solo gli elementi essenziali del libro stravolgendone ambientazione e trama. Infatti, mentre il romanzo è ambientato in Africa centrale a metà '800, qui ci troviamo in Palestina nel 1918; Holly non è un nerboruto professore universitario ma un gracile maggiore dell'esercito britannico; gli Amahagri non sono il popolo sottomesso ad Ayesha ma questa è seguita da un esercito personale (inesistente nel libro) di pseudo centurioni romani; inoltre nel film gli Amahagri si ribellano al volere di Ayesha e scontrano con la sua milizia; la "Fiamma di Vita" non si trova nei meandri cavernosi di un vulcano per raggiungere il quale i protagonisti affrontano mille ostacoli ma è direttamente in una stanza del palazzo di Ayesha; Billali non è un semplice vecchio capotribù degli Amahagri ma è un giovane e arrivista sacerdote di corte. Insomma tutto abbastanza stravolto rispetto all'originale versione haggardiana.